General manager di Seed Money Srl, startupper e mentore. Opera in un mondo, quello dell’innovazione, che sta cercando di valorizzarsi tra molte problematicità: “In Italia stiamo facendo dei passi da gigante, ma lo facciamo per rincorrere un ritardo tangibile rispetto agli altri paesi“. Di queste sfide, e di molto altro, VenetoUP ne ha parlato con Marco Rizzelli.
Di cosa si occupa Seed Money?
“Si tratta di una startup innovativa che raggruppa in un unico soggetto tre diverse anime. E’ un veicolo di investimento, un acceleratore di startup e un club deal. Nel momento in cui Seed Money decide di investire in una startup, la stessa viene affiancata da un mentor che ne segue lo sviluppo e vengono coinvolti tutti i soci di Seed nel supportarla dal punto di vista finanziario. Quando c’e bisogno di reperire maggiori risorse finanziarie o quando interveniamo in fase “early stage” organizziamo una raccolta attraverso le più note piattaforme di equitycrowdfunding presenti sul mercato, in particolare CrowdfundMe di cui siamo anche soci”.
Come agisce Seed Money per scovare nuove startup?
“Una parte di startup ci contatta per la visibilità che abbiamo sul mercato. Partecipiamo alle varie giornate dedicate (pitch day) organizzate da diverse realtà e a tutte quelle occasioni d’incontro offerte dall’ecosistema e, ovviamente, riceviamo le segnalazioni dei nostri soci sempre molto attivi nell’offrire il loro contributo. Oltre allo scouting, fondamentale è l’attenzione rivolta a quelli che sono i trend di mercato, soprattutto esteri e quelle operazioni di acquisizione che più di altre forniscono preziose indicazioni di tendenze future in atto”.
Cosa considera interessante in un progetto e cosa al contrario può non convincere?
“Spesso e volentieri c’è un approccio, specialmente nella redazione del business plan, che tende a stupire l’investitore. Non è un atteggiamento che prediligiamo, ci facciamo poco affascinare dalle progressioni numeriche ad effetto preferendo concentrarci sulla sostenibilità dei tassi di crescita e sulle ipotesi alla base della loro costruzione. Preferiamo un approccio più attento ai numeri ed al modo con cui le startup esercitano un controllo sugli stessi, siamo portati a essere molto pragmatici e concreti”.
Come stanno reagendo le startup in portafoglio a fronte delle enormi criticità dovute all’emergenza sanitaria?
“Al di là delle startup che operano in settori che hanno trovato nell’emergenza sanitaria una grande opportunità di crescita (come l’ecommerce e le piattaforme e-learning di smart working e di delivery) tante startup hanno visto azzerati i loro fatturati. Tutto il comparto legato al turismo, al settore immobiliare e a quello del retail ha indubbiamente accusato un duro colpo. Noi abbiamo avuto delle belle sorprese, perchè tutte le startup in portafoglio hanno cercato o di adeguare la propria offerta alle mutate condizioni di mercato o si sono inventate modalità per sostenere il mercato e non perdere il contatto con la propria clientela, trasformando una criticità in opportunità. Tutto questo ci ha fatto capire ancor di più come, oltre alle valutazioni che si possono fare sui numeri, fondamentale sia il team e la qualità dei suoi componenti”.
Quali sono, al giorno d’oggi, le difficoltà di chi vuol fare impresa?
“Una delle principali difficoltà credo sia il reperimento di risorse finanziarie. In Italia non abbiamo una cultura del capitale di rischio pari a quella dei principali mercati europei ed internazionali ed il ricorso al credito bancario è una strada tutta in salita. Basti pensare che solo in Europa, pur essendo l’Italia la terza economia del continente, risultiamo solo ottavi per valore degli investimenti effettuati dai VC. Sicuramente negli ultimi anni c’è stato un notevole balzo in avanti sia dal punto di vista dell’ammontare degli investimenti effettuati che della qualità delle realtà finanziate, e si sta lavorando per recuperare velocemente il tempo perso. C’è anche una difficoltà burocratico-amministrativa, data da un sistema che non è premiante della libera iniziativa che ha la tendenza a sottovalutare competenza ed ambizione dei più giovani, spesso considerati inadeguati ad assumere responsabilità ed essere artefici del proprio destino. Le startup vengono spesso viste come iniziative transitorie e, solo ultimamente, sono entrate nell’agenda politica come potenziale settore di sviluppo strategico del nostro paese. Ricordiamo che ad oggi, sono circa 11.000 le startup iscritte nel registro speciale istituito presso le camere di commercio e danno lavoro a più 60.000 persone. I numeri iniziano ad essere importanti e tutto l’ecosistema rappresenta il vero motore dell’innovazione in Italia, fondamentale anche per quelle imprese, Pmi comprese, che attraverso il venture corporate e l’open innovation trovano nelle startup un’opportunità concreta per innovare se stesse”.
“Oltre l’aspetto di natura tecnica, il bello del mio lavoro è incontrare ogni giorno gli sguardi carichi di entusiasmo di chi vuole essere artefice del proprio destino”
C’è una startup che l’ha stupita?
“Ce ne sono tante, ma due più di altre rappresentano per me un modello a cui tutti dovrebbero far riferimento: CleanBnB (tra l’altro uno dei primi progetti accelerati da Seed Money) per la sua efficienza organizzativa, la sua concretezza nell’impiego delle risorse disponibili e per le tappe che ha saputo bruciare passando in soli tre anni dalla costituzione alla quotazione in borsa nel segmento AIM. L’altra è OneDay Group, probabilmente una delle prime vere scaleup italiane, per la sua capacità di fare community, confermata dall’enorme successo della sua nuova creatura WeRoad”.
L’aspetto più bello del suo lavoro?
“Io a mia volta sono uno startupper e mentore di una realtà, Foody Experience, che è una piattaforma di turismo esperienziale verticale in ambito enogastronomico ed è una bella storia perchè dimostra come il “saper guardare oltre” possa rappresentare opportunità concreta di cambiamento. Ho incontrato i founders in una fiera e all’epoca Foody operava nel segmento del social eating, non un vero mercato ma più che altro una tendenza, per cui ho consigliato loro di cambiare direzione e svoltare verso il turismo esperienziale legato all’enogastronomia, un mercato definito e con tassi di crescita interessanti. Da allora è iniziata una collaborazione e una amicizia che ha portato Foody a intraprendere un percorso fatto di crescita e cambiamento. La soddisfazione è stata quella di trovare qualcuno che ha saputo andare oltre, perchè uno degli errori che spesso commettono gli startupper è quello di innamorarsi della propria idea, difendendola davanti alle evidenze contrarie che il mercato può inviare”.
Qual è il più grande mito da sfatare riguardo ai business angel?
“Più che i business angel, sono gli investitori professionali e i vari fondi di VC che offrono spunti di riflessione in tal senso. Quando si parla di startup occorre considerare il futuro e non sempre quel futuro è scritto nei numeri. Sono sempre più frequenti le startup che hanno ricevuto giudizi negativi, che sono state rifiutate e che invece grazie alla caparbietà dei founders o al supporto che hanno trovato all’estero sono riuscite ugualmente a emergere e a diventare casi di successo, anche internazionali. Non è semplice, solo la metà delle startup sopravvive oltre i 5 anni di vita e sono veramente poche quelle in grado di scalare rapidamente il mercato. Non per questo però sono storie da buttare, ognuna ha al suo interno pezzi di eccellenza e, secondo me, andrebbero incentivate quelle operazioni di concentrazione tra startup che possano generare maggior valore per gli investitori e che costituiscano realtà più forti e pronte per affrontare le sfide che il mercato impone”.
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